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12 dicembre 2015

Sinistra Italiana ha deciso di tenere a Napoli sul tema del Mezzogiorno la sua prima iniziativa tematica nazionale.

È una scelta carica di significato, specie per chi ha deciso di chiamarsi Sinistra Italiana, perché il Sud è decisivo per qualificare sia l’idea di Sinistra, sia quella di Italia. Lo è per varie ragioni.

La condizione del Mezzogiorno è l’emblema del fallimento delle politiche economiche degli ultimi anni e dell’attuale ordine europeo.

È lo specchio della subalternità di larga parte del centrosinistra a questo paradigma: riduzione degli investimenti pubblici, fedeltà all’Europa a qualsiasi costo, più le cosiddette riforme ‘strutturali’ su lavoro, scuola, pensioni, sanità.

È la metafora dell’incapacità delle classi dirigenti di questo Paese di tenere di interpretare un’idea credibile dell’Italia, delle ragioni della sua unità, degli interessi profondi della comunità nazionale in una fase di trasformazioni così grandi dell’Europa, del Mediterraneo e del mondo.

Non credo di esagerare -non lo dico certo perché siamo a Napoli- se affermo che il progetto di una nuova sinistra, capace di guardare con radicalità e realismo agli errori commessi, di una sinistra popolare, patriottica e costituzionale trova nel Mezzogiorno un suo banco di prova fondamentale.

Pensiamo a quelli che possiamo considerare i punti non in discussione, i presupposti del nostro progetto: centralità del lavoro e del contrasto alla disoccupazione, lotta alle disuguaglianze sociali e territoriali, reddito di dignità per la formazione e il lavoro, nuova politica industriale in chiave ambientale, superamento dei vincoli europei in materia di bilancio e di aiuti di Stato, riaffermazione del carattere pubblico e universalistico dell’istruzione e del welfare, no a privatizzazioni fatte solo a misura dei profitti finanziari e contro gli interessi dei cittadini (vedi da ultimo Poste e Ferrovie dello Stato), lotta senza quartiere alla grande evasione fiscale, alla corruzione e alla criminalità sulla base di una riaffermazione integrale del principio di legalità, per il quale i politici sono chiamati a dare l’esempio.

È un’altra idea di Italia e, allo stesso tempo, ciò che serve per tornare a pensare il Sud come grande questione nazionale.

Stiamo parlando di un vero e proprio cambio di paradigma rispetto alla politica dell’ultimo ventennio, quella che ha consentito la cancellazione del Mezzogiorno dal discorso pubblico.

Per noi ripartire da Napoli significa proprio questo: voltare pagina e costruire un progetto politico che prenda sul serio l’unità del Paese e la Costituzione repubblicana.

Ci stiamo accorgendo su tante materie che cosa significa aver anteposto i vincoli europei alle norme della nostra Costituzione: lo abbiamo visto su lavoro, scuola, pensioni, sanità. Lo vediamo in queste ore a proposito del principio costituzionale della tutela del risparmio.

Ho letto che ieri un ex sindaco di questa città, che adesso è di nuovo aspirante sindaco, si è lamentato perché sia le diverse componenti del PD organizzano altrove le loro iniziative e si tengono distanti dal Mezzogiorno.

Voglio dire ad Antonio Bassolino che questo non è una dimenticanza o un caso.

Renzi si tiene lontano dal Mezzogiorno perché affrontare sul serio il tema di un nuovo meridionalismo mettere in discussione gli assi fondanti della sua politica liberista e i cardini della sua narrazione.

Nella sua Italia di vincenti e fortunati ci può essere posto per qualche singolo meridionale, non per la condizione del Sud in quanto tale!

Vi racconto un piccolo aneddoto. In una delle ultime Direzioni del Pd a cui ho partecipato, convocata all’inizio di agosto per rispondere mediaticamente all’anticipazione del rapporto Svimez con il lancio del mitologico Masterplan, Renzi ha detto a un certo punto: “deve essere chiaro un punto di fondo se guardiamo i dati, l’Italia è ripartita, è il Sud che è fermo”. Proprio così. Testuale.

Ecco, caro Renzi, una delle ragioni per le nostre strade si sono divise è che noi abbiamo un’altra idea: per noi senza il Mezzogiorno non esiste l’Italia!

Sappiamo tutti poi quale triste fine abbia fatto il Masterplan, ridotto a un elenco di fondi già stanziati da anni, e quale mediocre risposta il governo stia dando al Sud con la legge di stabilità.

L’unico parzialissimo passo in avanti è un piccolo credito di imposta varato per gli investimenti e la possibilità di estendere il bonus contributivo per le stabilizzazioni, solo se si individueranno le risorse necessarie.

Siamo davvero sotto il minimo sindacale. Senza una visione d’insieme, senza lo sforzo di costruire un programmazione di medio periodo, senza un piano straordinario per l’occupazione giovanile. Il tutto con un atteggiamento che denota quasi fastidio per un tema da affrontare d’ufficio…

Tutti i temi cruciali non sono stati neppure sfiorati dalla politica del governo in questi mesi.

Dall’esigenza di una nuova regia nazionale (che fine ha fatto l’Agenzia per la Coesione Territoriale? Chi svolge una funzione di coordinamento delle politiche per il Sud nel governo?) alla necessità di una politica industriale attiva che contrasti la desertificazione produttiva del Mezzogiorno.

Dal vincolo di destinazione al Mezzogiorno di una quota degli investimenti statali e delle grandi aziende pubbliche (in legge di Stabilità abbiamo proposto un emendamento per reintrodurre la cosiddetta clausola Ciampi del 45%) all’introduzione in forma anche sperimentale di un reddito minimo di dignità per la formazione e il lavoro.

I dati su quanto la crisi degli ultimi anni abbia spaventosamente colpito Pil, occupazione, produzione industriale e investimenti nel Mezzogiorno e allargato ulteriormente la forbice rispetto alle altre aree del Paese sono fin ormai troppo noti, grazie soprattutto al lavoro della Svimez. Non c’è bisogno che io li riprenda.

Rendono semplicemente surreale il trionfalismo che è capitato di ascoltare per un lievissimo rimbalzo dell’occupazione negli ultimi mesi (dovuto peraltro soprattutto all’aumento dei lavoratori stagionali del turismo) e per una previsione di crescita del Pil quest’anno dello 0,1%, nelle condizioni internazionali più favorevoli che potessero esserci, e che purtroppo stanno già mutando.

Voglio ringraziare gli autorevoli ospiti esterni e il sindaco De Magistris che hanno accettato il nostro invito a confrontarsi e che ci porteranno il loro contributo.

Con loro ragioneremo delle questioni principali sul tappeto e ci porremo alcune domande.

Ad esempio, si può andare avanti con la storia che al Mezzogiorno per riprendersi basterebbe usare bene i fondi comunitari e che questo sgrava lo Stato di ogni responsabilità in termini di politiche di riequilibrio e di investimenti?

Certo i fondi vanno utilizzati meglio e le classi dirigenti meridionali sono tutt’altro che esenti da responsabilità, ma può adagiarsi su questo discorso un governo che l’anno scorso ha scippato al Sud 3,5 miliardi di cofinanziamento nazionale dei fondi comunitari per finanziare misure anche in parte condivisibili, dagli ottanta euro al taglio della componente lavoro dell’IRAP, di cui però ha beneficiato prevalentemente il centro-nord?

Si può continuare ad accettare supinamente che l’Europa si pronunci contro ogni forma di fiscalità differenziata per il Sud e che in Italia non si riesca, ad esempio, a istituire neppure una zona economica speciale mentre la Polonia (che prende in proporzione più fondi comunitari del Mezzogiorno e, stando fuori dall’euro, può svalutare la moneta e sottrarsi ai vincoli di bilancio) ne ha 14, come ci ricorda spesso il professore Giannola?

Può il Mezzogiorno accettare la logica insita nella riforma della scuola, quella della crescente di divaricazione tra scuole di serie A e di serie B, quella che si è già affermata di fatto per le Università anche per effetto dei meccanismi premiali introdotti negli ultimi anni?

Oggi qualcuno inizia a manifestare preoccupazione e stupore per il drastico calo delle iscrizioni nelle Università meridionali. Ma che cosa c’è da stupirsi se al Sud il taglio del Fondo di finanziamento ordinario e il blocco del turnover dei docenti ha inciso al Sud in misura più che doppia rispetto al resto del Paese?

Faccio un esempio perfino banale: se si individua nella percentuale di occupati a un anno dalla laurea uno dei criteri per premiare le Università ‘virtuose’, come farà l’Università di Reggio Calabria a competere con quella di Milano o Reggio Calabria? È un criterio che serve per combattere o per accrescere le disuguaglianze fra gli atenei e i diritti degli studenti di diverse aree del Paese?

Proveremo a ragionare anche della necessità vitale di ricostruire soggetti politici organizzati e corpi intermedi nel Mezzogiorno, che tornino a selezionare domande sociali e classe dirigente.

Abbiamo visto come anche l’esperienza di leadership individuali forti e connotate in senso progressista abbia incontrato limiti in assenza di una dimensione collettiva di partecipazione e di elaborazione.

Dobbiamo sentire ancora più forte su di noi questa responsabilità, alla vigilia di appuntamenti elettorali importanti, in una realtà come quella meridionale in cui il deserto e talora perfino il degrado della vita democratica del Pd hanno raggiunto livelli francamente impressionanti.

L’iniziativa di oggi è ancora promossa dal gruppo parlamentare di Sinistra italiana. Dall’inizio dell’anno avvieremo il processo costituente del nuovo partito dal basso. Il gruppo parlamentare è solo un impulso e uno strumento al servizio di questo processo democratico, non può certo sostituirsi a esso.

Avremo un grande appuntamento all’inizio del 2016 in cui si lancerà la campagna di adesione alla costituente della Sinistra, sulla base di un’iscrizione strettamente individuale e della rigorosa applicazione del principio una testa un voto.

Io immagino un metodo di democrazia integrale, in cui, muovendo da un nucleo di principi condivisi, agli aderenti si consegna la decisione su tutto: la struttura organizzativa, lo Statuto, le priorità programmatiche, i gruppi dirigenti locali e nazionali, il nome definitivo del nuovo partito.

Senza sommatorie di sigle e spezzoni di ceto politico, senza la persistenza delle vecchie organizzazioni, con un investimento totale da parte di chi partecipa sulla capacità del processo costituente di produrre novità e discontinuità rispetto alle nostre storie precedenti.

Con la capacità di innovare, di utilizzare nuovi strumenti e linguaggi, di incuriosire di giovani, ma pure di riscoprire il fascino antico della militanza, del guardarsi in faccia e della presenza fisica nei diversi luoghi della società.

Ebbene sì, navighiamo controcorrente, vogliamo costruire un partito, in forme moderne e non nostalgiche, ma un partito, non per le prossime elezioni politiche, ma per l’Italia dei prossimi decenni.

E abbiamo la pretesa di pensare che questa sia una necessità ancora più vitale per il Mezzogiorno.

Si è discusso in questi giorni di come ricostruire il centrosinistra. Le parole ieri di Nardella, fidato successore di Renzi alla guida del Comune di Firenze, hanno chiarito molto i termini reali della questione.

Direi che è abbastanza difficile ricostruire il centrosinistra con chi pensa che la distinzione tra destra e sinistra non esita più!

Alle elezioni comunali, a partire dal fatto che Sinistra Italiana si propone come forza chiaramente autonoma e alternativa al PD e al M5S, si valuteranno caso per caso le eccezioni, e lo faranno anzitutto i gruppi dirigenti locali. Con la consapevolezza che si frena l’avanzata della destre europee, compresa quella della caricatura leghista del lepenismo, non assemblando fronti pro-estabilishment o alzando le mura della cittadella dei benpensanti, ma schiodando la sinistra dalla subalternità a politiche liberiste e antipopolari.

A livello politico, voglio essere chiaro, è evidente che la possibilità di riaprire una prospettiva di centrosinistra passa per una sconfitta del disegno renziano del Partito della Nazione e del suo impianto programmatico.

Ma per questo, lo dico con affetto e rispetto sia ai compagni della sinistra PD, sia ai sindaci, non bastano le interviste e gli appelli.

Serve ormai, perse purtroppo tutte le sfide sul terreno parlamentare, una battaglia politica aperta, che cambi i rapporti di forza nel Paese e riapra la partita.

 

Dopo le amministrative, non nascondiamocelo, lo snodo decisivo sarà il referendum costituzionale dell’autunno. Lì ci sarà un pronunciamento popolare non sui dettagli della riforma costituzionale, ma di fatto sull’intero impianto delle controriforme renziane.

Sarà un confronto tra due modelli di società, di democrazia, di rapporto tra politica ed economia. Sarà il vero banco di prova del Partito della nazione e degli interessi interni ed esterni che lo sorreggono.

E lì bisognerà schierarsi.

Sarà un po’ difficile, detto sempre con affetto agli amici e compagni che giustamente invocano il centrosinistra, dichiararsi contro il Partito della Nazione e a favore dello stravolgimento renziano della carta costituzionale. Come si fa a essere insieme per un nuovo centrosinistra e per il trionfo costituzionale del modello renziano?

Voglio ricordare che circa dieci anni fa, nel 2006, il voto del Mezzogiorno fu decisivo nel determinare un’ampia maggioranza popolare contro la riforma costituzionale di Berlusconi e Bossi, in una battaglia referendaria allora guidata da quel galantuomo di Oscar Luigi Scalfaro.

Io sono convinto che il Mezzogiorno farà sentire forte e chiara la sua voce anche nel prossimo autunno!

Lo farà non solo a tutela dei suoi legittimi interessi, ma per difendere un’altra idea di Italia e per riaffermare il modello di società e di cittadinanza disegnato dalla nostra Costituzione repubblicana.

Noi in questi mesi –l’iniziativa di oggi è solo la prima tappa- proveremo a costruire un vero e proprio viaggio nel Mezzogiorno, nei luoghi delle sue sofferenze e delle sue potenzialità.

Questa grande campagna di ascolto, al termine della quale vogliamo proporre un piano organico e straordinario per il riscatto del Sud, la immaginiamo un elemento centrale e qualificante del processo costituente di Sinistra italiana.

Un cammino nell’Italia vera e profonda, non quella dei vincitori e dell’ottimismo patinato, per raccogliere e sollevare l’energia del cambiamento là dove è più forte il bisogno.

Nella convinzione che se il Sud tornerà a credere nella forza della democrazia e della partecipazione, l’Italia davvero si rimetterà in moto e la sinistra tornerà a svolgere una funzione indispensabile.

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mario

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